• Infrastrutture
  • Strutture
  • Tunneling
  • Geotecnica
  • Ambiente
  • Idraulica
  • Mobility
  • Architettura
  • Impianti
  • Sicurezza
  • BIM
  • Visual Design
Attendi

La svolta ecologica delle città

COVER-IMAGE_Burzacchini_01
Spunti di riflessione e azioni concrete per una mobilità urbana sostenibile

ANDREA BURZACCHINI

I cambiamenti climatici ai quali stiamo assistendo in questi ultimi anni dimostrano l’urgenza di modificare sensibilmente le nostre abitudini al fine di introdurre comportamenti più sostenibili e rispettosi dell’ambiente. In questo contesto ricoprono un ruolo centrale le aree urbane, spazi ad alto consumo di risorse, ma allo stesso tempo luoghi in cui poter sperimentare su vasta scala le politiche della sostenibilità. Uno degli ambiti di maggior intervento è certamente quello della mobilità. “Diamo strada alle persone” è l’espressione coniata da Matteo Dondè, architetto e urbanista, per descrivere quei cambiamenti che è oggi indispensabile mettere in atto all’interno dei contesti cittadini al fine di promuovere la mobilità attiva e sostenibile, a scapito degli spostamenti in auto. In qualità di esperto di mobilità sostenibile e Amministratore Unico dell’Agenzia per la Mobilità di Modena (aMo) – carica che ha ricoperto sino a giugno 2022 – quali sono le azioni che ritiene le istituzioni possano mettere in campo per stimolare una mobilità sostenibile?

Andrea Burzacchini – La svolta nella mobilità è certamente un contributo fondamentale alla lotta al cambiamento climatico. In questo le città svolgono un ruolo importante, poiché in esse vediamo i problemi e da lì vengono le soluzioni. La svolta nella mobilità consiste nell’invertire il modal split attuale degli spostamenti urbani.

Oggi, infatti, i ⅔ degli spostamenti all’interno dei contesti cittadini vengono svolti in modalità privata e solo ⅓ in modalità sostenibile (a piedi, in bicicletta o con il TPL). Che cosa possiamo fare per capovolgere queste proporzioni? Il metodo più efficace per invogliare i cittadini ad abbandonare l’auto è modificare le strade a favore della mobilità attiva: ridurre lo spazio dedicato alle automobili (sia in movimento che in sosta), adottare il limite dei 30 km/h, aumentare il costo dei parcheggi, accrescere gli spazi per i pedoni (a partire da marciapiedi spaziosi e meno rovinati), portare le biciclette in strada costruendo bike lanes, che costano meno delle piste ciclabili in sede propria e che non saranno più pericolose se si limita fortemente la velocità delle auto. E poi dare spazio e preferenziazione ai mezzi pubblici: non solo corsie preferenziali, ma anche – solo per fare un esempio – consentire ai mezzi di “far diventare il semaforo verde” quando sono in arrivo, migliorando la velocità commerciale e aumentandone l’attrattività.

Queste misure rendono il muoversi in macchina meno semplice, meno immediato e più costoso. Il paradosso è che nelle città che riescono ad attuare con successo la svolta nella mobilità, quando è necessario muoversi in auto lo si fa in modo più piacevole, perché ci sono pochi ingorghi e il traffico è scorrevole.
Tutto quello che abbiamo detto ha un impatto enorme sul cambiamento climatico, sulla qualità dell’aria e del rumore in città, sull’uso dello spazio, sulla salute delle persone, sul numero di incidenti d’auto in ambito urbano (ricordiamo che l’Italia è uno dei paesi europei in cui ci sono più incidenti mortali in città, un problema trascurato delle nostre istituzioni).
È anche una questione di libertà delle persone: se il traffico privato è limitato, bambini, anziani e portatori di handicap potranno usare la strada con maggiore democrazia.

Infine, è una questione economica. Il fatto di essere costretti a possedere almeno un’auto a famiglia ha un impatto enorme sul nostro portafoglio. Una macchina costa dai 300 ai 700 euro al mese, spesi per un oggetto progettato per muoversi, ma che resta fermo quasi tutto il tempo. L’auto è costosa anche per i comuni: all’inizio degli anni 2000 è stata condotta una ricerca a livello europeo che mostra come i comuni spendano per la mobilità basata sulle auto il triplo di quello che dalle auto ricavano.

Uno dei principali ostacoli al successo delle politiche per la mobilità sostenibile in Italia sta nelle barriere culturali verso il Trasporto Pubblico Locale. Spesso il TPL è percepito come di scarsa qualità, non in grado di rispondere alle esigenze dell’utenza o comunque di non facile utilizzo. In che modo scardinare queste convinzioni “popolari”? Come generare un’inversione di tendenza all’interno di contesti urbani – come Modena – ancora oggi fortemente caratterizzati dalla “cultura del motore”?

AB – Si possono fare essenzialmente quattro cose.
La prima è che questo Paese deve finanziare il TPL molto più di quanto stia facendo. Ognuno di noi può facilmente rendersi conto che in una qualsiasi città europea gli autobus passano ogni 5 minuti e il TPL resta attivo fino a tarda sera anche in piccoli centri urbani. Questo non significa che sono meglio organizzati, ma che ci sono più soldi.
La seconda cosa è che i comuni possono migliorare facilmente la velocità e l’attrattività del TPL nel momento in cui attuano misure di preferenziazione per i mezzi pubblici, per esempio non rendendoli soggetti al traffico automobilistico. Si tratta di soluzioni che non possono essere adottate a livello extraurbano, ma che possono essere introdotte in ingresso e in uscita dai paesi.
Non bisogna dimenticare che un TPL più veloce, ovviamente, costa meno poiché – a pari prestazioni – necessita di meno corse e meno tempo. La terza cosa è riuscire a superare l’enorme rigidità delle tariffazioni: maggiore integrazione tra il ferro e la gomma, tra l’urbano e l’extraurbano, maggiore chiarezza, facilità e reperibilità dei biglietti e dunque maggiore attrattività del TPL.
In Italia abbiamo moltissimo da fare su questo, non solo a livello locale, ma anche e soprattutto a livello nazionale. Basti pensare che in tutte le stazioni importanti che conosciamo ci sono rivenditrici diverse per Trenitalia e per Italo. Sulle lunghe distanze esistono solo due compagnie e non sono in grado di dialogare tra loro.

In Gran Bretagna, al contrario, le compagnie a livello nazionale sono molte di più. L’utente accede semplicemente ad un unico sito internet dove trova le diverse combinazioni di viaggio per arrivare a destinazione e può pagare una volta sola, senza distinzione tra le diverse aziende di trasporto che utilizzerà nel proprio viaggio.
La quarta è una cosa su cui mi sono battuto molto come Amministratore Unico di aMo: c’è da parte delle amministrazioni e degli operatori del TPL la convinzione che i mezzi pubblici debbano garantire solo i servizi minimi. Questo significa che – alla fine – il TPL finisce per essere pensato solo per i pendolari o, dove la coperta è corta, solo per gli studenti delle scuole superiori. In diversi comuni italiani, infatti, ancora oggi il TPL viene valutato in base alla capacità di portare gli studenti a scuola in tempo e – in periodo di Covid – su quanto spazio hanno tra di loro i ragazzi. Il messaggio che arriva ai diciassettenni è che i mezzi pubblici saranno per loro assicurati solamente finché andranno a scuola, poi dovranno comprarsi la macchina. Questo è sbagliato perché si genera una cultura secondo la quale il TPL è solo per chi non può permettersi l’auto per questioni economiche o di età. Questo, purtroppo, accade non solo per il servizio urbano, ma anche per il trasporto a livello regionale.
Come Amministratore Unico di aMo, ho cercato di battermi perché a Modena ci fosse, per esempio, un servizio di TPL serale, cosa che purtroppo non c’è ancora.

In qualità di Amministratore Unico di aMo ha sostenuto e contribuito alla realizzazione di uno studio dedicato alla valutazione e riassetto del trasporto pubblico del capoluogo. Quali sono i benefici che il nuovo disegno del TPL avrà per Modena? Quali le influenze che, un lavoro principalmente centrato sull’ambito urbano, è in grado di generare anche a livello provinciale? E più in generale, in che modo un buon progetto di riorganizzazione del TPL può contribuire all’evoluzione di una città di medie dimensioni?

AB – Lo studio che abbiamo indetto su incarico del Comune di Modena ha avuto il fine di produrre una nuova rete di TPL basata su quattro linee principali, che corrispondono alle cosiddette dorsali di movimento. Sono state identificate alcune tratte che verranno percorse dai Bus Rapid Transit (BRT), i quali saranno quasi interamente in sede propria e completamente preferenziati. Grazie alle ultime innovazioni ed evoluzioni, il servizio di BRT sarà svolto da autobus elettrici di grandi dimensioni, ad alta capacità e ad alta frequenza. In questo modo Modena avrà un trasporto pubblico su due livelli: 4 linee percorse dai BRT e poi linee secondarie che raggiungeranno i punti della città non toccati da quelle principali. Gli autori dello studio hanno disegnato queste linee tenendo conto dei principali punti di interesse della città. Le linee, quindi, uniranno i quartieri più densamente abitati con i centri attrattori (il centro storico, gli ospedali, la stazione). Questo nuovo disegno del TPL ci auguriamo accresca l’attrattività di Modena, generando impatti anche a livello provinciale: in prossimità di quelli che saranno i capolinea dei BRT, disposti a raggera attorno alla città, si intesteranno parcheggi scambiatori e mobility point. I capolinea saranno, quindi, punti dove chi viene a Modena dalla provincia potrà lasciare la propria auto e dove si fermeranno alcune linee pubbliche extraurbane, facilitando lo scambio tra mezzo extraurbano a mezzo urbano ad alta frequenza e velocità. Si tratta di un disegno che – molto diffuso in Europa – da un lato, evita che gli autobus extraurbani entrino in città creando traffico aggiuntivo, dall’altro, permette al TPL extraurbano una maggiore frequenza nella propria area di competenza.

Il BRT è, inoltre, particolarmente efficiente perché economico e veloce da realizzare e flessibile rispetto a quelli che potrebbero essere gli sviluppi urbanistici dei prossimi decenni. Modena ha avuto, infatti, uno sviluppo urbanistico non efficiente negli ultimi 50 anni: la città si è allargata a macchia d’olio e non si è scelto, per esempio, di concentrare le zone residenziali sugli assi principali. Oggi la densità abitativa è molto omogenea e di conseguenza è necessario predisporre di un numero maggiore di linee per servire una sufficiente porzione di popolazione.
In Italia è ancora particolarmente diffusa la convinzione che la svolta nella mobilità porti a una sorta di decrescita (felice o infelice che sia) delle città. In realtà, la riorganizzazione in termini di mobilità sostenibile – di cui la riorganizzazione del TPL è un caposaldo fondamentale – genera città più dinamiche e belle da vivere, in grado di attrarre i giovani, nuove idee e funzioni, capaci di migliorare la città dal punto di vista culturale ed economico. Friburgo, dove vivo, ha compiuto scelte radicali dal punto di vista della mobilità bloccando, di fatto, qualsiasi tipo di sviluppo basato sull’uso dell’auto privata. Nonostante questo – ma si potrebbe dire proprio per questo – è passata da 185.000 abitanti ai 230.000 attuali in 30 anni, è una delle città con età media più bassa in Germania e le persone scelgono di vivere a Friburgo anche perché qui si trova lavoro. Questo significa che le città che hanno intrapreso strade a favore della sostenibilità stanno producendo luoghi di lavoro, successo economico, nuove potenzialità e nuovi mercati.

Freiburg im Breisgau, Baden-Wurttemberg, Germany

Andrea Burzacchini – Esperto di mobilità e sviluppo sostenibile. Da oltre vent’anni a Friburgo, dove ha fondato aiforia, agenzia per lo sviluppo sostenibile. Ha partecipato e coordinato progetti in oltre venti Paesi e pianificato e condotto oltre 150 visite guidate / training nella città di Friburgo su mobilità e sostenibilità.

Dal 2016 pendolare (in treno) tra Friburgo e Modena dove è stato nominato Amministratore Unico di aMo – Agenzia della Mobilità, incarico concluso nel giugno 2022. Nel 2020 ha fondato l’iniziativa “OBIETTIVO 2/3 – per una svolta nella mobilità urbana” a sostegno di comuni e province italiani.

NEXT PROJECT
Cambiamento climatico e infrastrutture: come interagiscono tra loro?