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Immaginare l’Antropocene

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Trasformare i rifiuti in plastica per generare un nuovo paesaggio

“Envisioning the Anthropocene” (letteralmente: Immaginare l’Antropocene) è un progetto architettonico speculativo concepito da Kornelia Dimitrova in occasione del suo Master presso la Eindhoven University of Technology. Nel 2016, il progetto è stato selezionato per Archiprix Nederland – un premio assegnato ogni anno ai migliori progetti di laurea nei Paesi Bassi – e nel 2017 per Archiprix International.

I flussi della plastica

 

Il concept e la stesura del progetto sono stati realizzati dopo aver condotto un’approfondita ricerca e analisi dei flussi che definiscono e modellano l’isola di Texel, una delle cinque isole barriera lungo la costa olandese del Mare del Nord. Questo studio è stato pubblicato nel 2017 nel volume “Texel Flows: un atlante metabolico”. Come nella maggior parte delle isole, anche a Texel i flussi di prodotti, materiali e rifiuti sono interconnessi e fortemente visibili. In genere, per le isole, esistono strutture per la trasformazione dei rifiuti organici e verdi in compost, che puù essere utilizzato dagli agricoltori dell’isola. Anche il vetro, la carta e altri materiali riciclabili vengono accuratamente raccolti e stoccati negli impianti di riciclaggio. Fra tutte le categorie di rifiuti, tuttavia, la plastica è generalmente più problematica sulle isole che sulla terraferma: richiede, infatti, processi di trasformazione più complessi e la maggior parte delle isole non ha le strutture per riciclarla o riutilizzarla. Inoltre, la plastica è molto problematica quando viene abbandonata senza controllo nell’ambiente naturale. Per dirla senza mezzi termini, non esistono metodi naturali per il trattamento della plastica, la quale resta pertanto un prodotto dall’impronta tipicamente antropica. Questo è il motivo per cui il progetto “Envisioning the Anthropocene” prende le mosse da questo tipo di rifiuti.

Normalmente, la plastica arriva sull’isola in barca, sotto forma di imballaggi e prodotti di cui gli isolani hanno bisogno per le loro attività quotidiane e commerciali. Meno spesso, arriva sulle rive attraverso le mareggiate. In ogni caso, al termine del ciclo-vita viene portata via sotto forma di rifiuti. Il progetto nasce dall’idea di trattare questo flusso continuo di plastica come una risorsa ed esplora quali possibili applicazioni può avere per la comunità e l’ambiente naturale di Texel.

Il concetto di Antropocene è centrale nel progetto. Si riferisce all’era geologica nella quale i livelli di formazioni rocciose sono influenzati visibilmente dall’impronta dell’uomo. Il termine è stato coniato nel 2000 da Paul Crutzen, vincitore del Premio Nobel per la chimica. Questo progetto ipotizza un nuovo tipo di presenza negli impianti di riciclaggio dei rifiuti, una presenza più pubblica e che celebra il ruolo di queste infrastrutture nelle nostre società. Ora dobbiamo pensare a quale ruolo dovranno svolgere le infrastrutture in un mondo in cui il clima sta rapidamente cambiando. È possibile ri-pensare infrastrutture ed impianti industriali come strumenti per il risanamento del territorio e non solo per garantire la mobilità o la fruizione delle sue risorse? Questo progetto elabora uno scenario alternativo circa il ruolo dei rifiuti in plastica nell’ambito del paesaggio costiero di Texel e sviluppa una tipologia infrastrutturale che può ben incarnare questo processo.

Un parco paesaggistico per il riciclo dei rifiuti di plastica

In definitiva, “Envisioning the Anthropocene” esplora la possibilità di introdurre la plastica riciclata come elemento costitutivo di un nuovo paesaggi costiero. In natura, materiali altamente durevoli, come roccia e sedimenti, non partecipano ai cicli nutrizionali, ma servono come base. La plastica è talmente resistente al tempo da diventare uno dei simboli chiave dell’era geologica dell’umanità. Il progetto conferisce alla plastica un ruolo costruttivo nello strato del cosiddetto Antropocene. In sostanza, l’uomo e la tecnologia, come “forza geologica” che ha creato la plastica, instaurano un processo “geologico” che la riconnette con la natura stessa.

Il progetto si sviluppa alla scala dell’intera isola di Texel, nella forma di un parco paesaggistico per il riciclaggio dei rifiuti di plastica e per facilitare lo sviluppo di nuove saline, tipico ambiente umido dell’area del mare di Wadden, che, sviluppandosi in modo naturale, è stato già utilizzato per la bonifica e la difesa dei litorali; a Texel, il naturale sviluppo delle saline è stato interrotto dalla costruzione di argini costieri.

A livello architettonico, il progetto propone strutture che rappresentano visivamente il valore che questi argini hanno assunto per le comunità e lo sviluppo del territorio.

Il progetto prevede un duplice livello di azione: da un lato il “meccanismo” e dall’altro la “macchina”. I rifiuti in plastica di tutta l’isola vengono trasformati in elementi di un telaio che facilita la formazione delle nuove saline, mentre l’impianto di riciclaggio ospita e simboleggia questo processo metabolico.

Texel ha l’ambizione di raggiungere l’autosufficienza e di diventare un banco di prova per iniziative che mirano a raggiungere questo obiettivo. “Envisioning the Anthropocene” risponde a questa ambizione trattando l’isola alla stregua di un organismo, ovvero una complessa rete di sistemi.

Il meccanismo progettato riutilizza i rifiuti in plastica come materia prima per la produzione di strutture modulari che dovrebbero guidare e favorire l’accumulo di sabbia e limo lungo la costa di Wadden, nell’isola di Texel. Un terzo del flusso dei rifiuti in plastica di Texel è idoneo a questo uso, ragion per cui il parco è progettato tenendo conto di tale capacità, sviluppando un’estensione di 5,7 Ha / anno. Le saline cresceranno gradualmente, come risultato dell’interazione tra i rifiuti e i flussi di marea. Il processo potrà continuare con l’innalzamento del livello del mare, che fornirà input continui di sabbia e limo. Lo sforzo architettonico è stato quello di accogliere e rappresentare il gesto di collocare un manufatto nel paesaggio e quindi di costruire il paesaggio futuro – con cura, impegno ed una regolamentazione paragonabili a quelli dell’estrazione del materiale.

L’ "edificio macchina" di Texel

 

L’edificio-macchina è collocato sul confine tra il paesaggio esistente e quello di futura generazione. Il vecchio paesaggio fornisce i rifiuti di plastica, i bassi fondali di Wadden lungo la costa orientale di Texel forniscono l’apporto di sabbia e limo. L’edificio-macchina attraversa il confine e funge da catalizzatore tra i due flussi metabolici. Il progetto prende in considerazione la costruzione di macchine come manufatto culturale oltre che tecnico. Tale manufatto è localizzato e progettato in modo da simboleggiare visivamente la funzione dell’edificio. La sua architettura è tale da poter funzionare organicamente all’interno della rete di sistemi esistenti sull’isola. Allo stesso tempo è un’estensione del dominio pubblico e in questo modo diventa l’interfaccia tra il processo strettamente tecnico e la società che ne beneficia. La proposta definisce dunque una condizione più socialmente e paesaggisticamente “accettabile” per questa tipologia di impianti, offrendo la possibilità che la struttura venga apprezzata sia per la sua funzione reale come edificio-macchina fintanto che resta in esercizio ma anche come monumento storico, al termine del suo ciclo vita. Il progetto è stato concepito alla stregua di una rappresentazione teatrale in tre atti: introduzione, conflitto e risoluzione.

Questi atti corrispondono ai processi tecnici di consegna e selezione (per tipo di plastica), triturazione e lavaggio e, infine, produzione dei telai per le nuove saline. Inoltre, ogni fase del processo viene a collocarsi fisicamente in uno spazio che riflette la sua relazione con l’isola. La prima fase avviene all’interno del fossato della diga (i rifiuti di plastica fanno ancora parte del sistema di rifiuti dell’isola), la seconda avviene in uno spazio di transizione (la plastica attraversa il confine verso il sistema successivo) e la terza fase prende vita al di là dell’edificio-macchina (la plastica appartiene oramai al sistema costiero), dove si svilupperà il nuovo paesaggio.

Envisioning the Anthropocene” mette in luce un argomento cruciale:  dal momento che l’umanità è diventata una forza geologica, diventa essenziale guardare alle infrastrutture e gli impianti industriali al di là del mero aspetto economico. La collaborazione tra uomo e macchina è divenuta oramai stabile e sempre più fluida. Pertanto, l’architettura delle infrastrutture e degli edifici industriali dovrà essere sempre più integrata con il contesto. In risposta all’ambizione della funzione che ospita, l’architettura dell’edificio-macchina di Texel è stata progettata per diventare per i posteri emblema di un processo di scambio metabolico oramai terminato. Rimarrà come un monumento all’umanità in quanto forza geologica cosciente.

Kornelia Dimitrova – Architetto, docente e ricercatrice, svolge la sua attività a Eindhoven (NL). Dal 2015 affianca Christoph Grafe nell’insegnamento di Storia e Teoria dell’Architettura presso il dipartimento dell’Università Bergische di Wuppertal. Attualmente insegna anche Teoria dell’architettura, presso la Fontys University of Applied Sciences di Tilburg. Oltre ai suoi impegni accademici, è curatrice di ricerca per “Stichting We Are”,

un’agenzia creativa che porta il pensiero progettuale nelle pratiche degli avvocati e dei difensori dei diritti umani. Ha conseguito la Laurea in Architettura presso la Technische Universiteit di Eindhoven, dove il suo progetto “Envisioning the Anthropocene” è stato nominato per Archiprix NL (2016) e Archiprix International (2017). Il focus del suo lavoro è sul modo in cui il significato della forma architettonica si rapporta all’ecologia e alla resilienza.

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Il “Klimaparkplatz”