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Ripensare spazi e tempi della città contemporanea

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Nuovi paradigmi per la rigenerazione urbana

JACOPO OGNIBENE – ANDREA RIVA

È noto che la maggior parte delle emissioni di gas serra del mondo proviene dalle città. È noto anche che la popolazione urbana aumenterà ulteriormente nei prossimi decenni. Come conciliare, dunque, il tema della sostenibilità e dell’uso intelligente delle risorse – lo spazio prima di tutto – con quello dello sviluppo urbano?
Ne abbiamo parlato con Jacopo Ognibene, architetto specializzato in pianificazione del Traffico e della Mobilità Sostenibile, e Andrea Riva, Project Leader per lo studio di architettura Park Associati.

È tempo di passare dalla pianificazione urbanistica alla pianificazione della vita urbana. Ciò significa trasformare lo spazio della città, ancora altamente mono-funzionale con le sue diverse aree specializzate, in una realtà policentrica, basata su quattro componenti principali – vicinanza, diversità, densità e ubiquità – per offrire a breve distanza le funzioni sociali urbane essenziali”. Con queste parole Carlos Moreno – Professore presso l’Università Sorbona di Parigi – che per primo ha coniato il concetto di “Città 15 minuti”, propone una nuova idea di prossimità all’interno dei contesti urbani.
Nelle città, sostiene il Prof. Moreno, ciò che ha a che fare con ogni momento della vita quotidiana delle persone (il lavoro, i negozi, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, il tempo libero) dovrebbe essere raggiungibile entro quindici minuti – a piedi o in bicicletta – da casa propria, con l’obiettivo di influire positivamente sul ritmo di vita nelle città e di ricollegare le persone con il loro territorio.
In che modo i processi di rigenerazione urbana provano a dare una risposta a questo obiettivo?

Jacopo Ognibene – Ripensare ai luoghi della città odierna e di domani vuol dire in primo luogo accettare che il paradigma del Funzionalismo sia definitivamente tramontato. Sia perché la dimensione fisica delle città storiche non è mai stata davvero compatibile con la crescita incontrollata della mobilità individuale (che costellava tante visioni razionaliste novecentesche), sia perché i “gruppi sociali” sono aumentati in misura impressionante (“giovane mamma del 2020” vs “casalinga degli anni ‘50”) e la vita dei cittadini è andata progressivamente riempiendosi di miriadi di attività da svolgere fuori casa. Per molti il lavoro stesso è cambiato radicalmente, ridimensionando il paradigma del pendolarismo. Contemporaneamente, le dimensioni urbane sono sempre meno compatibili con l’idea di poter fare tutto ovunque.

Lo smart working durante la pandemia ha evidenziato in maniera dirompente una trasformazione radicale: al “monocentrismo” (che sembrava sopravvivere nelle metropoli per alcune funzioni, si pensi alle sedi delle multinazionali, alla Milano finanziaria) si è via via sovrimpresso un modello policentrico e polimorfico, dove i “centri” sono le vite dei singoli cittadini. Riqualificare la città usata da ciascuno (non solo quella percepita guardandola dal finestrino!) – soprattutto nei quartieri – è e sarà una necessità fondamentale a tutte le scale, soprattutto considerando che alcune funzioni – che storicamente erano solo all’interno delle unità abitative o che addirittura non esistevano

(il lavoro nomade, il coworking, gli orti condivisi, le attività dei bambini, etc.) – ora sono disponibili anche (o solo) all’esterno, uscendo.

Si è già superata la separazione delle funzioni in diversi quartieri, in ognuno dei quali si stanno via via integrando sempre più servizi e funzioni tra loro. Oltre al tema dei servizi offerti, anche quello dell’accessibilità di ogni zona della città è un elemento competitivo che certamente attrae dall’esterno, ma soprattutto qualifica e impatta direttamente sulla vita dei residenti, permettendo loro di rivedere il proprio modello di mobilità (ovvero il modo di vivere), reinvestendo tempo, spazio, denaro entro l’isocrona dei 15 minuti. Questo aspetto può avere un impatto fenomenale per la qualità della vita su scala locale e per la domanda di qualità urbana nei quartieri. La rigenerazione urbana, accogliendo e agendo sulle opportunità, è sicuramente in grado di sostenere e amplificare questo cambiamento, ma solo se riesce ad intervenire con tempestività e affiancando gli stakeholder con gli strumenti della partecipazione e dell’ascolto, anche a progetto ultimato.
È richiesto un grande salto disciplinare e culturale a chi lavora sulla città: ampliare capacità, tecniche e strumenti interpretativi e progettuali, anche se si lavora alla scala di quartiere integrando architettura e urbanistica con sociologia, partecipazione, mobilità, ambiente, paesaggio, gestione del disagio, risk management, economia, marketing, comunicazione ecc.

Andrea Riva – È importante affermare come il concetto di “città 15 minuti” non rappresenti un ritorno al passato oppure una forma di downgrade rispetto al modello di città attuale. Non si tratta nemmeno di negare i valori e gli aspetti positivi della metropoli a favore di un sistema di piccoli centri indipendenti tra loro. Il modello 15 minuti mira ad una trasformazione degli spazi urbani in conformità alle nuove esigenze del XXI secolo. Infatti, se il nostro modo di vivere e utilizzare la città è cambiato radicalmente negli ultimi 50 anni, non è possibile dire lo stesso dello spazio che abitiamo, rimasto per lo più legato agli standard e alle idee del boom del secondo dopo guerra. Si tratta di immaginare un’unica realtà cittadina, a sua volta organizzata secondo diverse polarità in connessione tra loro. La scala del quartiere e della metropoli devono puntare

a convivere esaltando le potenzialità di entrambe e collaborando nell’eliminazione dei punti deboli. La seconda considerazione sulla città 15 minuti riguarda il raggio di influenza di questa visione. Non si tratta di un processo che coinvolge solamente urbanisti, architetti ed esperti di mobilità ma una scelta di cambio di paradigma nella città che punta a mettere al centro il singolo individuo coinvolgendo tutte le discipline presenti nei centri urbani. Si tratta di trovare nuove formule e alchimie tra ambiente, economia, gestione delle criticità ambientali, valorizzazione dello spazio pubblico.
Il concetto di “città 15 minuti” deve essere colto come un appello per tutti i professionisti a partecipare al ridisegno dello spazio urbano che viviamo ogni giorno.

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La sostenibilità è uno dei temi centrali nel concetto di “Città 15 minuti”. In che modo le iniziative di rigenerazione urbana – attraverso la sinergia tra progettazione architettonica, urbanistica e mobilità – affrontano il tema della riduzione dei consumi?

AR – Bisognerebbe parlare di benessere più che di sostenibilità perché quest’ultimo termine negli anni ha acquisito un valore legato prettamente all’ambito ingegneristico e prestazionale senza tenere in considerazione le dinamiche di fruizione dello spazio pubblico e gli effetti sullo stile di vita degli abitanti. La parola benessere si basa su un’equazione che mette in relazione sia le performances tecnologiche che altri fattori legati al comportamento degli utenti. I destinatari di questo approccio risultano molteplici: il pianeta, la comunità ma anche il singolo individuo.
Penso che il vero principio alla base del concetto di “città 15 minuti” sia la qualità della vita degli abitanti e non semplicemente le distanze o i tempi di percorrenza tra le diverse polarità di una città. Investire sull’idea di una città a 15 minuti vuol dire credere nella creazione di uno spazio pubblico e conseguentemente una comunità in grado di rispondere in maniera più rapida ed efficace all’esigenze di tutti i giorni.
In relazione al tema dei consumi questo modello offre notevoli vantaggi e allo stesso tempo apre nuovi scenari di sviluppo. La riduzione dei tragitti permette di promuovere nuove forme di mobilità e di trasformare il tempo passato in auto in opportunità per attività più gratificanti e rilassanti.

La riduzione delle emissioni inquinanti e di rumore si trasforma in una qualità maggiore dell’area e conseguente fruibilità degli spazi all’aperto. La riduzione della congestione stradale consente di immaginare nuovi scenari di sfruttamento dello spazio pubblico meno auto-centrico e più orientato verso la qualità della vita degli abitanti delle grandi città. Consumo di tempo e consumo di spazio diventano così elementi di analisi alla pari dei consumi legati all’industria del trasporto e dei veicoli inquinanti. Non è possibile scindere un elemento dall’altro.
Gli elementi elencati mostrano come le opportunità siano numerosissime e che sia legittimo essere fiduciosi nei confronti di una concezione della città moderna. Allo stesso tempo risulta evidente come alla base di ogni processo di rigenerazione urbana debba esserci un lavoro sinergico tra diversi stakeholder e soprattutto diverse discipline. Non è più possibile immaginare un intervento come la addizione di singole componenti indipendenti tra di loro, ma la chiave di riuscita di queste iniziative risiederà nella capacità di comprendere e valorizzare le interconnessioni tra architettura, urbanistica, mobilità (e non solo) favorendo la creazione di uno modello nuovo di spazio incentrato sull’individuo e sulla possibilità di instaurare interazioni, formali o informali, tra gli abitanti.

JO – I termini “Sostenibilità” e “Ambiente” sono stati talmente abusati dalla politica locale e globale da non essere più vettori di un pensiero-azione univoco. Fortunatamente l’intervento di Greta Thunberg all’Austrian World Summit dello scorso 1° luglio ha fatto piazza pulita di molte ambiguità. Tuttavia, è molto interessante comprendere come “Sostenibilità” e “Ambiente” possano essere declinati su scala locale.
La Sostenibilità (sociale, economica e ambientale) non è solo un’istanza globale, ma anche una chiave interpretativa della vita delle persone, e quindi non può che essere uno strumento progettuale per orientare in maniera determinante la rigenerazione urbana. Pensiamo alla mobilità (o all’accesso alla banda larga): è la disponibilità di (nuovi) servizi a creare le opportunità per i singoli.

Localmente, progettare con sostenibilità vuol dire innanzitutto ascoltare le persone e mettere a sistema le diverse esigenze di una comunità.

L’Ambiente locale non è solo qualità dell’aria e il rumore, ma anche l’ambiente urbano. È tutto ciò che sta oltre la soglia di casa e che, parallelamente, ne è anche un’estensione perché, vivendoci, è uno spazio altrettanto nostro. Percepirlo, attraversarlo, goderne, sentirsene parte fino a prendersene cura (come si fa della propria residenza) è diventato ormai irrinunciabile, tanto più se la nostra città sarà sempre più vicina al modello dei 15 minuti: un contesto nel quale la maggior parte del tempo verrà “speso” (cioè reinvestito) localmente, anziché in spostamenti di attraversamento.

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Il tema della condivisione delle risorse, siano esse servizi o spazi, è centrale nel ripensare la città: il co-housing, la sharing mobility, etc. diventano paradigmi ineludibili di progettazione. Come architettura e mobilità stanno interpretando il tema della condivisione? Quali sinergie possono essere individuate per rispondere in modo efficace alle esigenze contemporanee?

JO – A nuovi bisogni e attività per i cittadini, e conseguentemente ad una nuova domanda di mobilità, si sono affiancate anche nuove modalità di spostamento, nuovi servizi individuali, pubblici e condivisi che coprono distanze differenti, e che comportano un uso “nuovo” per lo spazio collettivo.
Dobbiamo prendere atto che il confine tra spazio pubblico e spazio privato si sta via via dissolvendo: ad esempio, il verde e il marciapiede sotto casa ora possono ospitare funzioni diverse da contemplazione e transito pedonale; il piano terra degli edifici (come anche alcuni spazi interni alle residenze) ospita ora attività comunitarie diverse ogni giorno, in una crescente commistione; gli spazi di lavoro si estendono fuori dal “blocco” aziendale,

coinvolgendo le aree esterne per attività informali, relax, lavoro nomade. È determinante accettare una nuova definizione fuzzy degli spazi destinati ad ospitare le diverse funzioni (o meglio, dei nuovi mix di funzioni) e la progettazione dello spazio pubblico, in primo luogo la strada, deve considerare l’intero universo locale, adottando come minimo il paradigma “da facciata a facciata” o meglio, facendo un passo in più, “da piano terra a piano terra”. La fuzzyness dei confini si riduce man mano che si procede dallo spazio collettivo allo spazio privato, che a sua volta ha portato fuori alcune funzioni che tradizionalmente erano confinate tra le mura di casa e ne ha accolte altre, prima relegate all’esterno.

AR – Lo sviluppo di un nuovo modello di sfruttamento delle risorse meno rivolto al possesso e più incentrato sulla condivisione è il frutto di una riscoperta e valorizzazione dell’aspetto sociale dell’essere umano. La società, lo sfruttamento degli spazi pubblico e il desiderio di interagire sono fenomeni sempre più importanti nel modello di vita odierno. Il valore dell’esperienza ha superato l’importanza della proprietà. In merito alla mobilità, ad esempio, risulta importante potersi spostare da un punto A ad un punto B nel modo più comodo ed efficace e rapido. Per questo motivo oltre al comfort di guidare la propria autovettura sono entrati nei parametri di valutazione nuovi aspetti come disponibilità di sosta, tariffazione della sosta, traffico, frequenza dello spostamento. Tutti questi fattori hanno portato molti cittadini a preferire il mezzo in sharing rispetto all’onere dell’acquisto di un mezzo privato.

Lo sharing è inoltre la conseguenza di un altro fenomeno che corrisponde al ritmo e le opportunità di un sistema globalizzato. La dinamicità odierna, specie per le fasce generazionali più giovani, prevede la possibilità di cambiare spesso città di residenza, luogo di lavoro. Come conseguenza la flessibilità e la facilità di scegliere ogni volta il servizio più adeguato alle proprie esigenze sono diventati fattori propulsori di questo sistema di condivisione.
Infine, è importante sottolineare come questo nuovo modello rappresenti un’enorme opportunità in termini di sostenibilità e di progresso. Condividere significa sia ottimizzare lo sfruttamento degli spazi e degli strumenti a disposizione riducendo le fasce di non utilizzo, sia offrire l’opportunità di utilizzare servizi in continua evoluzione e in grado di rispondere alle rapidissime trasformazioni che la velocità urbana odierna richiede.

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Jacopo Ognibene – è architetto specializzato in pianificazione del Traffico e della Mobilità Sostenibile, libero professionista dal 2001, si è formato allo IUAV di Venezia. È attivo sui temi del Trasporto Pubblico, della Valutazione di Infrastrutture, della Mobilità Urbana, della Mobilità Ciclistica e Pedonale, che sviluppa prevalentemente attraverso l’uso di strumenti avanzati a supporto delle decisioni (modelli e Gis). È consulente stabile di NET Engineering come Project Manager.

Andrea Riva – è nel team di Park Associati dal 2018 dove ricopre il ruolo di Project Leader. Ha partecipato alla progettazione di residenze per studenti e guidato progetti di rigenerazione urbana tra cui i concorsi di Reinventing Cities per le aree di Milano e Roma. Andrea è anche impegnato nella cellula di ricerca e sperimentazione dello studio, Park Plus. Fondato nel 2000 da Filippo Pagliani e Michele Rossi, Park Associati si occupa di progettazione architettonica, urbanistica, interior e product design. Un approccio all’architettura analitico, pragmatico e calibrato, forte della tradizione ma capace di generare nuovi codici linguistici, fa di Park Associati uno dei protagonisti della riqualificazione architettonica e rigenerazione urbanistica in Italia.

NEXT PROJECT
Analisi trasportistiche a servizio della mobilità sostenibile