Navigare nella storia delle mappe
JACOPO OGNIBENE
Leggere, sfogliare e anche disegnare mappe ha sempre avuto un fascino particolare (oggi annebbiato dalla mappatura globale della nostra vita digitale). Perché? Che cosa c’è al di là della seduzione delle simbologie e delle legende, del puro segno grafico della rappresentazione (si pensi all’iconica mappa della London Underground) o della storia cristallizzata nelle carte storiche che ci raccontano la geopolitica di dinastie e Stati?
Rappresentare il “mondo” è sempre stata un’esigenza dell’uomo. Per dirlo nostro, per appropriarcene, lo disegniamo su una mappa man mano che lo scopriamo.
Affascinante come la storia della cartografia sia indissolubilmente legata a quella della navigazione (cosa che aumenta in me l’attrazione per entrambe le discipline), proprio per la necessità di trasmettere IL messaggio: “Qualcuno è stato lì prima di te, ecco cosa ci troverai”. Ed ecco diffondersi atlanti, resoconti di viaggio, annotazioni e disegni sulle terre esplorate, carte nautiche disseminate di linee lossodromiche e rose dei venti, portolani. Ma oltre al conosciuto, disegnare mappe è da sempre anche il modo per relazionarsi con le terræ incognitæ (“Hic sunt dracones”) e per immaginare il mondo “al di là”: che cosa c’è dopo l’oceano? La Terra è piatta? Come si muovono i pianeti, attorno a che cosa? Le mappe più antiche mescolavano geografia e religione, osservazione e filosofia, dando forma e posizione a luoghi che nessuno aveva ancora mai visto, o mai avrebbe potuto vedere, come il Paradiso e l’Inferno; mappe “fantastiche” spesso contaminano i planisferi e rivelano una fortissima pulsione alla conoscenza, accompagnata da un’altrettanto forte volontà di esplorare, che sarebbero rimaste a lungo insoddisfatte.

Eratostene e Claudio Tolomeo.
La forma e le dimensioni del mondo
La mappa del mondo occidentale (allora) conosciuto disegnata da Eratostene ben tre secoli prima di Cristo, è a suo modo sconvolgente: non solo contiene, con proporzioni inattese, il Mediterraneo e il Medio Oriente come li conosciamo oggi, ma vi si riconoscono l’India e Ceylon, la Scandinavia meridionale, il Mar Nero e addirittura il Caspio (rimasto misterioso almeno fino al Medio Evo),
tante città (a nord, la poetica Thule), rilievi e fiumi. L’Africa australe e l’Asia continentale, in parte incognite, sono comunque contornate dal mare. Ad Eratostene dobbiamo due meraviglie tecniche: introdusse meridiani e paralleli (i due maggiori passavano da Rodi) e stimò – con un errore del 2%, nel IV secolo a.C.! – la circonferenza della Terra (era ovvio che fosse rotonda!).

Pochi secoli dopo, a cavallo del 100 d.C , Claudio Tolomeo produsse, partendo da resoconti e testi raccolti nella Biblioteca di Alessandria, un’altra mappa letteralmente modernissima, in proiezione pseudoconica con meridiani e paralleli “deformati” sulla curvatura terrestre, ricchissima di informazioni
e dettagli, nonostante alcune comprensibili sproporzioni. L’opera di Tolomeo, raccolta nell’opera Geographia (prima apparizione del termine, da lui coniato) rimase senza pari per altri 1.400 anni fino alle grandi navigazioni di Colombo, Vespucci e Magellano.
La Repubblica di Venezia prosperò grazie all’importanza data alle informazioni sul mondo là fuori. Più della sete di conoscenza, poté un bisogno certamente più utilitaristico e asservito ad un’egemonia militare e commerciale insieme.
Pietra miliare è il Planisfero di Fra Mauro del 1459 d.C., mappa redatta proprio mentre la supremazia della Serenissima iniziava a vacillare anche sui mari (la galea era molto efficace nelle acque mediterranee ma inadatta a vincere gli oceani e i velieri di chi sull’Oceano era nato).
Il Planisfero, conservato nelle stanze più protette della città, è ricchissimo di particolari e toponimi, sapientemente raccolti da Fra Mauro anche a seguito dei resoconti di viaggio di mercanti, di cui Marco Polo fu la punta di diamante (il Milione comparve nel 1.300 e rimase la sola fonte disponibile sull’Estremo Oriente per altri due secoli).

Venezia si spense e iniziò l’epopea delle traversate che cambiarono definitivamente la sorte (e la forma) del mondo occidentale. In poche decine di anni si scoprì una nuova terra al di là dell’Atlantico, e anche allora una buona carta geografica era preziosa almeno quanto l’oro che caravelle, brigantini e galeoni riportavano in patria.
Solo 15 anni dopo l’impresa di Colombo, la Nuova Terra trovò il suo nome grazie ad una mappa: il Planisfero di Waldseemüller del 1507. Certamente Amerigo Vespucci, la cui vita intera oscillò tra truffe e colpi di fortuna, seppe dare alle proprie “memorie” un’immeritata celebrità (anche grazie alle nuove tecniche di stampa), alle quali il cartografo tedesco attinse forse un po’ troppo ingenuamente: la sua mappa del mondo, la prima stampata in “grande tiratura” a girare l’Europa, incredibilmente celebra Vespucci (messo al pari di Tolomeo!) e non Colombo. Waldseemüller si pentì e nella seconda edizione sostituì “America” con “Terra Incognita”, ma ormai la frittata era fatta.

Nel 1957 un appassionato di mappe entrò in possesso della discussa Mappa di Vinland, disegnata dai Vichinghi attorno all’anno 1000 e sulla cui autenticità si è discusso per 40 anni.
Vi riconosciamo molto bene il Mediterraneo, le Isole britanniche e, ad ovest di queste, l’Islanda e la Groenlandia (battezzata “terra verde” per un’altra burla vichinga). Ma, e questa è la cosa rivoluzionaria, un altro territorio è cartografato a Ovest della Groenlandia: il Vinland (terra del vino) non può essere che la costa di ciò che noi chiamiamo Nord America. Questa mappa semisconosciuta ci racconta che l’America/Vinland fu scoperta tra il 985 e il 1001 dai Vichinghi (loro tombe furono poi trovate a Terranova), e la cosa non dovrebbe stupire perché, abili navigatori, già erano andati (e tornati) in terre molto lontane. Ma la Politica mondiale preferì non riscrivere la Storia “americana-colombiana”…

Ai giorni nostri, questo racconto epico ed affascinante è stato sostituito dalla geolocalizzazione in tempo reale, da GoogleMaps in ogni smartphone, delle mappe che si auto-generano (presso Google) a partire dai nostri dati. Tuttavia, se la cartografia è stata per secoli principalmente una questione di conservazione del potere e in quanto tale era qualcosa da custodire e proteggere come i più preziosi segreti militari, è davvero solo da pochi anni che gli strumenti (e le informazioni!) per mappare sono – letteralmente – a disposizione di tutti: dopo la quasi totale scomparsa degli atlanti geografici a stampa (1800-2000), ora abbiamo i GIS (personalmente uso QGis, che è open source), Google Earth, OpenStreetMap (mappa libera molto più affidabile di Google Maps, fateci un giro!), le foto satellitari e gli Open Data, un patrimonio collettivo immenso cui attingere per esplorare e rappresentare il nostro mondo o studiare luoghi di cui non abbiamo esperienza diretta.
“Un patrimonio collettivo immenso cui attingere per esplorare e rappresentare il nostro mondo.”

Se da un lato c’è ancora contrapposizione tra Libera Conoscenza (l’universalità degli Open Data come bene comune) e Potere (quali informazioni visualizzare su Maps lo decide Google, non l’utente!), noi Professionisti oggi abbiamo in mano una meravigliosa pietra filosofale con cui generare mappe, analisi geografiche, conoscenza e informazione, per il nostro lavoro e per la collettività. Tali strumenti (in una realtà operativa impensabile quarant’anni fa) ci aiutano, ad esempio, a pianificare e progettare infrastrutture meno impattanti sull’ambiente,
conoscere e prevenire i rischi ambientali o climatici, pianificare ed erogare servizi energetici o di mobilità calibrati sulle specificità della domanda, analizzare i cambiamenti climatici e il loro impatto sugli esseri viventi, intervenire dopo catastrofi naturali, analizzare le dinamiche elettorali, pianificare nuove navigazioni. È arduo trovare un settore estraneo all’uso dei GIS in un’era così prolifica per gli appassionati di mappe e cartografia (basta farsi un giro nel gruppo Flickr di QGis per rendersene conto).
Da professionista, due aspetti che mi incantano sono la libertà e la facilità con cui oggi possiamo lavorare sui dati (geografici e non). Da un lato, gli Open Data rendono disponibile (con un paio di click) un immenso patrimonio informativo di base, sia a livello centrale (ad es. l’UE, l’Istat, l’ISPRA) che locale (anche se con fortissime disomogeneità in Italia, dove l’Open by default previsto dalla Legge stenta a diventare prassi nella PA), aiutandoci a conoscere e analizzare fenomeni sotto punti di vista nuovi e con maggior finezza.
Dall’altro, un’inedita disponibilità di software GIS (ancora, grazie all’Open Source) consente a tecnici anche poco specializzati di svolgere analisi e trasformazioni spaziali dei propri dati e progetti. Vent’anni fa sul desktop di ogni ingegnere c’era l’icona di Autocad; oggi è facile che ci sia anche quella di QGis, software che per facilità d’uso, completezza e flessibilità può essere facilmente usato per centinaia di applicazioni e da diverse tipologie di utenti. Nel corso dei miei anni da consulente di società di ingegneria e PA, ho visto personalmente passare “le carte” dalle mani dello “smanettone” dedicato unicamente al GIS, sempre oberato dalle mille richieste dei colleghi progettisti, alle mani dei progettisti stessi, che possono ora gestire autonomamente il proprio lavoro. E dopotutto, il vero compito di noi tecnici è saper ascoltare, fare domande e interpretare il contesto (sociale, economico, ambientale, etc.) in cui operiamo per trovare le migliori risposte possibili per i decisori (più o meno) illuminati che a noi si rivolgono.
Un GIS non è che uno strumento di uso quotidiano, come un programma di Office, tuttavia le nuove mappe che produciamo, al pari delle mappe storiche raccontate sopra, sono utili e necessarie ad allargare gli orizzonti di Decisori e Comunità, perché, mentre rivelano loro nuovi confini e terre poco note, li aiutano anche a raggiungerli. Il nostro è un armamentario inedito e incredibile per continuare a dare forma al nostro mondo, raccontarlo, conoscerlo e farlo sempre più nostro, mentre lo disegniamo su una mappa, per gli Altri.
Jacopo Ognibene – Architetto specializzato in pianificazione del Traffico e della Mobilità Sostenibile, libero professionista dal 2001, si è formato allo IUAV di Venezia. È attivo sui temi del Trasporto Pubblico, della Valutazione di Infrastrutture,
della Mobilità Urbana, della Mobilità Ciclistica e Pedonale, che sviluppa prevalentemente attraverso l’uso di strumenti avanzati a supporto delle decisioni (modelli e Gis). È consulente stabile di NET Engineering come Project Manager.